Antonio Mancini
Roma, 1852 - 1930
Pittore di larghissima notorietà, fin dall’inizio Mancini esercitò il proprio talento figurativo su soggetti tratti dalla realtà popolare, soprattutto fanciulli e “scugnizzi” che egli ritraeva dal vero. Allievo di Palazzi e Morelli all’Istituto di Belle Arti di Napoli, particolarmente interessato allo studio della pittura seicentesca e ai suoi effetti luministici, fino al 1873 divise lo studio con Vincenzo Gemito. In questo primo periodo napoletano fu vicino all’espressione e alle tematiche di Gioacchino Toma ( soggetti patetici e popolari).
Nel 1872 espose al Salon di Parigi, venendo a contatto col mercante Goupil e tornatovi nel 1875 ebbe modo di conoscere gli impressionisti; si indirizzò, quindi, ad una pittura più luminosa, eliminando i contorni delle figure, con una tavolozza bruna e un tessuto cromatico chiaro. L’estremizzazione di tali ricerche luministiche portò in seguito Mancini a vere e proprie sperimentazioni polimateriche, con l’innesto sulla superficie pittorica di pezzi di vetro, stoffa, stagnola ed altro. Nel terzo periodo, dopo il 1880, i suoi soggetti, costantemente ancorati al filone del verismo napoletano, sono sempre più fagocitati dal “delirio” cromatico/materico del colore e della pennellata “sfarfallante”, anche dovuto al fatto che nel 1881, in seguito ad una serie di violente crisi nervose, egli fu ricoverato in manicomio, dove tuttavia continuò a dipingere, ritraendo medici e infermieri ed eseguendo alcuni dei suoi più intensi autoritratti. Nel 1883, a Roma, ebbe nuove importanti occasioni d’incontro, in particolare col pittore John Sargent con cui intraprese due viaggi a Londra, dove fu apprezzato soprattutto come ritrattista. Tornato a Roma egli lavorò per tre anni per l’antiquario Otto Messinger e, nel 1911, accettò un contratto col collezionista francese Ferdinand du Chène du Vere, trasferendosi nella villa di questi a Frascati. Gli undici anni trascorsi presso il mecenate francese furono caratterizzati da un’intensa attività creativa, che permise a Mancini di presentarsi alla XII Biennale di Venezia con ben ventuno dipinti. Nel 1923 gli venne conferita la cittadinanza onoraria di Napoli e nel 1927 venne nominato accademico d’Italia. In quest’ultima occasione venne anche organizzata dalla rivista “Fiamma” una mostra antologica di tutta la sua produzione. Altre mostre personali si tennero nel 1928 a Milano e a Londra. Sue opere sono nelle raccolte pubbliche di tutto il mondo e un numero notevole si trova in Olanda al museo dell’Aja. Nel 1962 gli fu dedicata a Milano una importante mostra, un’altra nel 1987 nel museo di Dordrecht, in Olanda.
Musei:
Roma (Galleria Nazionale d’Arte Moderna).
Napoli (Museo di San Martino)
Venezia (Galleria Nazionale d’Arte Moderna)
L’Aja
Bibliografia:
A. M. Comanducci, Dizionario illustrato dei Pittori, Disegnatori e Incisori Italiani Moderni e Contemporanei, Milano, Luigi Patuzzi Editore, 1972; E. Castelnuovo, La Pittura in Italia: l’Ottocento, Milano, Electa, 1990; M. Agnellini, Ottocento Italiano, Novara, De Agostini, 1996; G. L. Marini, Il valore dei dipinti dell’Ottocento e del primo Novecento, Torino, Umberto Allemandi & C., 2000; La pittura napoletana dell’Ottocento, Napoli, Tulio Pironti Editore, 1993.
Nel 1872 espose al Salon di Parigi, venendo a contatto col mercante Goupil e tornatovi nel 1875 ebbe modo di conoscere gli impressionisti; si indirizzò, quindi, ad una pittura più luminosa, eliminando i contorni delle figure, con una tavolozza bruna e un tessuto cromatico chiaro. L’estremizzazione di tali ricerche luministiche portò in seguito Mancini a vere e proprie sperimentazioni polimateriche, con l’innesto sulla superficie pittorica di pezzi di vetro, stoffa, stagnola ed altro. Nel terzo periodo, dopo il 1880, i suoi soggetti, costantemente ancorati al filone del verismo napoletano, sono sempre più fagocitati dal “delirio” cromatico/materico del colore e della pennellata “sfarfallante”, anche dovuto al fatto che nel 1881, in seguito ad una serie di violente crisi nervose, egli fu ricoverato in manicomio, dove tuttavia continuò a dipingere, ritraendo medici e infermieri ed eseguendo alcuni dei suoi più intensi autoritratti. Nel 1883, a Roma, ebbe nuove importanti occasioni d’incontro, in particolare col pittore John Sargent con cui intraprese due viaggi a Londra, dove fu apprezzato soprattutto come ritrattista. Tornato a Roma egli lavorò per tre anni per l’antiquario Otto Messinger e, nel 1911, accettò un contratto col collezionista francese Ferdinand du Chène du Vere, trasferendosi nella villa di questi a Frascati. Gli undici anni trascorsi presso il mecenate francese furono caratterizzati da un’intensa attività creativa, che permise a Mancini di presentarsi alla XII Biennale di Venezia con ben ventuno dipinti. Nel 1923 gli venne conferita la cittadinanza onoraria di Napoli e nel 1927 venne nominato accademico d’Italia. In quest’ultima occasione venne anche organizzata dalla rivista “Fiamma” una mostra antologica di tutta la sua produzione. Altre mostre personali si tennero nel 1928 a Milano e a Londra. Sue opere sono nelle raccolte pubbliche di tutto il mondo e un numero notevole si trova in Olanda al museo dell’Aja. Nel 1962 gli fu dedicata a Milano una importante mostra, un’altra nel 1987 nel museo di Dordrecht, in Olanda.
Musei:
Roma (Galleria Nazionale d’Arte Moderna).
Napoli (Museo di San Martino)
Venezia (Galleria Nazionale d’Arte Moderna)
L’Aja
Bibliografia:
A. M. Comanducci, Dizionario illustrato dei Pittori, Disegnatori e Incisori Italiani Moderni e Contemporanei, Milano, Luigi Patuzzi Editore, 1972; E. Castelnuovo, La Pittura in Italia: l’Ottocento, Milano, Electa, 1990; M. Agnellini, Ottocento Italiano, Novara, De Agostini, 1996; G. L. Marini, Il valore dei dipinti dell’Ottocento e del primo Novecento, Torino, Umberto Allemandi & C., 2000; La pittura napoletana dell’Ottocento, Napoli, Tulio Pironti Editore, 1993.